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Firma grafometrica, le reazioni dei tool all’uso di parti e

del corpo non abituali: ecco gli esperimenti


Firmare trattenendo la penna tra le labbra oppure con i piedi o con la mano con cui non siamo soliti scrivere: le sperimentazioni sono volte a valutare se i tool grafometrici convalidino comunque unicità e individualità della traccia


L’essere umano sollecitato da ogni esperienza e cambiamento interiore o esteriore può preservare un senso di unità e unicità anche durante un nuovo adattamento funzionale. Davanti a qualsiasi cambiamento del nostro corpo continuiamo ad esprimere un senso di unitarietà che è la nostra unicità. Il nostro team di ricerca[1]ha provato a convalidare, con l’ausilio di tool grafometrci, l’unicità espressa nella traccia grafica indipendentemente dal supporto, dal mezzo di scrittura e, soprattutto, indipendentemente dalla parte del corpo utilizzata (ad esempio: mano non abituale, gomito, bocca, piede). Il contributo scientifico è volto a individuare se i tool grafometrici convalidino l’unicità e individualità della traccia anche utilizzando parti del corpo non abituali.


La legge dell’impulso cerebrale

La legge dell’impulso cerebrale di Solange Pellat afferma che “il gesto grafico è sottomesso all’influenza diretta del cervello. La sua forma non è modificata dall’organo scrittorio se questo funziona normalmente e si trova sufficientemente adattato alla sua funzione”.[2] In ambito artistico ne sono testimoni i processi creativi realizzati con il pennello tenuto con la bocca, con lo strumento grafico legato ai polsi, con il pennello tra le dita del piede; modalità che confermano come vi sia adattabilità e possibilità di ritrovare la propria espressività grafica anche usando un arto mai utilizzato.


Il movimento generatore del tracciato sembra permanere e riadattarsi velocemente. L’artista Luca Bucchi[3], tetraplegico dall’età di diciannove anni, comincia per caso a tenere le matite con la bocca per disegnare e intuisce che potrà trovare autentica espressione di se stesso con questa parte del corpo.


Nel nostro linguaggio parlato, le espressioni idiomatiche su quanto un piede possa fare – oltre a contribuire a mantenerci in equilibrio e in posizione eretta – non corrispondono a un qualcosa di ben fatto: l’espressione popolare “un lavoro fatto con i piedi” conferisce connotati negativi al risultato di una azione, etichetta qualcosa fatta malissimo, con una valenza particolarmente dispregiativa. Ricordiamo, ancora, le nostre docenti della scuola primaria che proferivano verso quegli alunni che non manifestavano una particolare propensione per la bella grafia (la “calligrafia”, appunto) inveire: “Hai scritto con i piedi!”, come se le funzioni motorie del piede fossero qualitativamente e quantitativamente inferiori a quelle della mano. Il mondo dell’arte conferma il contrario. L’artista Simona Atzori[4], priva degli arti superiori dalla nascita, non solo è una talentuosa ed affermata ballerina, ma all’età di quattro anni ha iniziato a dipingere con i piedi.  La produzione artistica conferma la conservazione dell’unicità espressiva attraverso un funzionale adattamento del corpo.


Scrittura in condizioni di limitazione funzionale e/o posizione innaturale

Primo step: abbiamo chiesto a diversi soggetti di firmare con la penna del tool grafometrico (WacomStu 530) legata con una corda di cotone alla mano abituale e tenendo il pugno chiuso.

Secondo step: la prova di scrittura, con la medesima modalità è stata ripetuta dopo pochi secondi; infine è stata acquisita anche la firma naturale del soggetto, sempre con l’utilizzo di tool grafometrici.

La penna viene legata esternamente al polso, il soggetto non utilizza la solita prensione indice/ pollice.


Permanenze grafiche

I prodotto grafico delle firme statiche su tool grafometrico mostra la permanenza della continuità, l’analogia nei gesti aerei, la compatibilità della tenuta del rigo con la quella della scrittura in condizioni normali, che traducono nell’insieme una stessa dinamica espressiva.


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